Ciò che è grande non è il sapere; non è neppure la scoperta è la ricerca. Non è la conoscenza posseduta, la scienza appresa e assimilata, ma un’attività vigilante che senza tregua, si pone nuovi problemi, organizza i fatti secondo rapporti non ancora conosciuti.
Celestin Freinet
Stiamo vivendo la terza grande rivoluzione della storia umana.
La prima è stata la Rivoluzione Agricola, la seconda quella Industriale. La nostra è la Rivoluzione Tecnologica caratterizzata dall’utilizzazione dell’energia nucleare, dall’ingegneria genetica e dall’enorme sviluppo dei mezzi d’informazione e comunicazione. Ma il progresso tecnologico può portare effetti collaterali disastrosi di cui spesso per pigrizia, ingordigia e, soprattutto, per ignoranza non si tiene conto (Cavalli Sforza L. F. 1995 ). La nostra società ad alto livello d’industrializzazione, per continuare ad esistere, ha necessità di far consumare, per poi ancora produrre, in una catena difficile da spezzare le cui conseguenze sono dannose non solo all’ambiente naturale (Latouche S. 2012). Il consumismo, infatti, crea pericolosi modelli che fanno presa soprattutto sui bambini e sugli adolescenti. Tutto si può ottenere molto, troppo, facilmente. Ciò che si è ottenuto senza fatica dopo poco non interessa più, si perde il valore delle cose insieme alla naturale curiosità nei confronti di ciò che ci circonda (Lorenz K., 1983).
Di qui l’urgenza di una seria e corretta educazione ambientale che partendo dallo studio dell’ambiente come ecosistema (cioè come l’insieme delle relazioni esistenti tra gli organismi viventi e tra questi e l’ambiente fisico) si proponga l’obiettivo di fare acquisire ai giovani la consapevolezza delle possibilità e dei limiti della progettualità dell’uomo riconosciuto come elemento attivo di quel delicato sistema di relazioni dal quale dipende la sua stessa sopravvivenza, in modo che essi comprendano la necessità di gestire in maniera responsabile le immense potenzialità di cui oggi disponiamo. Accanto alle scienze della natura è perciò necessario coinvolgere le scienze dell’uomo. Infatti se le scienze naturali permettono di scoprire le interazioni biofisiche, la geografia è indispensabile per conoscere le caratteristiche fisico-antropiche del territorio, l’economia e la sociologia sono necessarie per capire le motivazioni degli interventi umani (Manzi G., Rizzo J. 2011). In questa prospettiva di educazione alla cittadinanza attiva, la storia diventa, una chiave di lettura indispensabile per capire l’ambiente attuale. Essa, infatti, ci fa comprendere come i nostri problemi provengono dal passato, e come le decisioni che prendiamo nella situazione attuale daranno vita alla società di domani.
Se vogliamo educare i giovani a pensare, affinché possano consapevolmente decidere come sarà il mondo di domani (Morin E., 2000; 2001), ci è utile riascoltare l’eco profondo delle parole di John Dewey (1961) tornate di scottante attualità nel dibattito pedagogico contemporaneo: “L’educazione [del pensiero] consiste nello sviluppo della curiosità, della suggestione, e degli abiti di esplorazione e di prova, sviluppo che accresce la sensibilità per i problemi e l’amore per tutto ciò che è misterioso e sconosciuto […]”. Per impostare una seria educazione ambientale occorre, quindi, creare un “conflitto cognitivo”: un sistema di conoscenze che è posto in crisi da una nuova esperienza (Olson D., 1970; Pontecorvo C., Fusè L., 1981; Girardet H., 1983). Il desiderio di capire (di rimettere ordine) determina l’interesse per l’argomento e crea un problema da risolvere. E’ l’esistenza di questo problema che determina il coinvolgimento dello studente e fa sì che l’apprendimento sia sempre attivo e personale.
Lando Landi